mercoledì 20 ottobre 2010

Graffiando il 900...un graffio a gusci chiusi



Fino a poco tempo fa Irene Marcionetti mi era totalmente sconosciuta.
Sono bastate poche parole di Alda Bernasconi, editore di “Graffiando il 900”, parole di entusiasmo e orgoglio un po’ come quelle dette da una madrina di Battesimo nei confronti del suo pupillo da poco nato a convincermi ad acquistare il volume curato da Michela Persico-Campana, nipote di Irene.
Il mio acquisto è stato in parte anche sollecitato dal fatto che da pochissimo tempo avevo terminato la lettura di “Un viaggio chiamato amore” (Lettere 1916-1918 di Sibilla Aleramo e Dino Campana): scoperta, conoscenza, passione, vicinanza e lontananza, incontri fugaci e intensi. Abbandono. E di nuovo passione, nel suo vero significato, laddove la passione cinge così fortemente da non concedere più la libertà, sconvolge tanto da far pensare alla morte tenendo, però, fermamente vivi in un turbine di emozioni.

Mi chiedevo, quindi, se nello scambio epistolare tra Sibilla Aleramo e Irene Marcionetti, che sapevo essere citato in “Graffiando il 900”, ci fosse ancora traccia di quella passione bruciante.
Ed invece ho scoperto altri tipi di passione: quello di Irene per la scrittura sì, per i “suoi bambini” anche, ma soprattutto per il suo essere donna.
Una passione forse a Irene stessa inconsapevole, ma che oggi, nella lettura di “Graffiando il 900” è apparsa a me così evidente e pregnante, una specie di riflesso obbligato e obbligatorio alle nuove generazioni di donne, che oggigiorno non sono più in grado di vivere appieno ciò che in passato altre donne hanno ottenuto combattendo faticosamente.

Ho divorato il libro, seguendo avidamente passo dopo passo gli incontri che Irene ha fatto, con la donna cieca, con gli elementi del paesaggio ticinese e con le notti in riva al lago, con quell’ufficiale francese di cui mai conoscerò il nome, ma soprattutto gli incontri di Irene con sé stessa, così intensi e intimi come nella poesia “Maternità”, o meglio  come lei precedentemente titolava  “Desiderio di maternità”.
Così come attraverso le sue parole, semplici, chiare, descrittive, allo stesso modo attraverso i suoi lavori artistici, dipinti a olio e disegni raccolti in appendice al libro, Irene è stata in grado di immortalare profumi, colori, aliti di vento primaverile e di gelo invernale, regalando emozioni e sensazioni per sempre vive.

“Leggere Irene, leggere i suoi articoli, leggere le sue poesie!”: è ciò che consiglio a tutte quelle donne  oh, ce ne sono ancora, certo  che sono cinte dentro a un guscio spesso costruito da altri sì, ma troppo spesso da loro stesse cicatrizzato e consolidato nella convinzione di non essere in grado di vivere senza di esso. Un guscio che isola, che comprime e mortifica impedendo di prendere consapevolezza del potenziale e della forza di ogni donna.
Benché Irene Marcionetti abbia vissuto apparentemente isolata e sola, nella “Casa Rossa”, nei boschi, in riva al lago, tra i mandorli e i ciliegi in fiore, ha saputo espandere sé stessa, attraverso le sue preziose parole, accrescendo il suo essere donna del 900  donna con i capelli corti alla garçonne, con i pantaloni e la bicicletta, donna che arricchisce il suo sapere in scuole fino a quel momento aperte solo ai maschi, donna straordinariamente donna  e accrescendo oggi, permettendo a noi di leggere “Graffiando il 900”, il nostro essere donne del terzo millennio.

Grazie! Grazie di cuore a Michela Persico, che ha raccolto in un sottile filo di una vita lunga un secolo gli scritti di Irene, fino a quella poesia piena di “gioia cosmica”, leggera e fluttuante, scritta nel 2003, proprio per la nipote, con la consapevolezza che sarebbe stata letta dopo la sua morte: “E dopo…”

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